_comunicato #166
11 Ottobre 2007
Al Convegno sul Federalismo fiscale svoltosi a Milano ASSOEDILIZIA PROPONE: COMPARTECIPAZIONE REGIONALE SULL'IVA E IMPOSTA COMUNALE, INTEGRALMENTE DETRAIBILE, SUI REDDITI LAVORATIVI


Milano, 11 ottobre 2007 - Organizzato dall'Università degli Studi di Milano in collaborazione con Assoedilizia e il patrocinio di Regione Lombardia, Provincia di Milano, Comune di Milano, si è svolto a Milano il Convegno "Il federalismo fiscale-Analisi e ipotesi di lavoro" Sono intervenuti, quali relatori, Gianfranco Gaffuri, Ordinario di Diritto Tributario nell'Università degli Studi di Milano - Achille Colombo Clerici, Presidente di Assoedilizia - Giancarlo Pagliarini, Presidente della Commissione federalismo fiscale del Comune di Milano - Nicolò Zanon, Ordinario di Diritto Costituzionale nell'Università degli Studi di Milano - Giancarlo Penco, Consigliere della Sezione di Controllo della Corte dei Conti-Lombardia - Pierangelo Spano, Ricercatore del Cergas dell'Università Bocconi. I lavori, ai quali hanno portato il saluto parlamentari e rappresentanti della pubblica amministrazione.

Secondo quanto risulta dalle ricerche compiute dal Centro Studi di Assoedilizia e pubblicati nel corso di quest’anno in varie riprese sul Sole 24 Ore, emergono alcune anomalie di fondo del sistema Italia rispetto alla generalità degli altri Paesi europei;

1) Anzitutto il nostro Paese presenta un rapporto particolarmente squilibrato tra il prelievo fiscale locale e quello erariale. Il 95% dell’intero gettito fiscale è assorbito dallo Stato, mentre solo il 5% (la metà di quanto si riscontra negli omologhi Paesi europei) è prelevato direttamente dagli enti locali in virtù di una autonomia impositiva ufficialmente riconosciuta. Il nostro è dunque un sistema di finanza locale derivata, decisamente basato sul meccanismo dei trasferimenti, degli investimenti diretti, dei finanziamenti erogati dallo Stato centrale, e della compartecipazione alle imposte erariali.

2) Altra anomalia del sistema fiscale italiano rispetto a quelli del resto dell’Europa è il rapporto invertito, tra il gettito delle imposte dirette e quello delle imposte indirette. Ad esempio, il primo supera l’altro del 20%; mentre in Francia è l’opposto: il secondo supera il primo di circa il 30%; in Germania di quasi il 50%; in Spagna del 15%; in Portogallo del 100%. Semplificando, le imposte dirette colpiscono non la capacità di spendere, ma quella di guadagnare. Con la conseguenza che, se i redditi non vengono dichiarati o lo sono in modo irregolare, si dà luogo all’evasione fiscale che in Italia viene stimato nell’ordine del 24% del PIL; contro il 16% della Germania, il 14% della Francia, il 12% della Gran Bretagna. Solo il Portogallo ci supera con il 30%. Con le imposte indirette, viceversa, è più facile bypassare i fenomeni di evasione o di elusione, in quanto incidono in sede di spesa, di trasferimenti o di investimenti economici.

3) Altro dato interessante è quello del residuo fiscale pro capite (equivalente a quanto, per abitante, rimane allo stato centrale del prelievo erariale nelle singole aree regionali, dedotto quanto lo Stato “spende” nelle regioni stesse): in Lombardia è di 3.292 €euro per abitante, in Emilia Romagna di 2.643, in Veneto di 2.513, in Piemonte di 316, in Toscana di 180. Nel resto del Paese il saldo è negativo. Lo Stato quindi paga di più per ogni abitante di quanto percepisca di tasse, per via della combinazione di due fattori: minor reddito e maggiore evasione. I dati statistici dicono inoltre che il reddito delle regioni settentrionali è mediamente superiore del 35-40% rispetto a quello delle regioni meridionali.

E’ questa la prima difficoltà sul percorso del federalismo fiscale, in quanto è chiaro che non si può consentire alle regioni più ricche di "tenersi tutto": ciò causerebbe una sperequazione evidente, contraria ai principi di solidarietà e di sussidiaretà, inammissibile in uno Stato moderno e progredito.

Perequazione, dunque. Che significa però , non far diventare più ricche le regioni più povere, ma equiparare sul piano della fruizione dei servizi i cittadini delle seconde rispetto a quelli delle prime.

E' questa la luce più corretta nella quale cominciare a parlare di federalismo fiscale, inquadrando il ruolo della sussidiarietà. Sussidiarietà non solo verticale, dal pubblico al privato, dallo Stato al cittadino (secondo la teoria del telescopio cara a Pietro Giarda) ma orizzontale, tra enti ed istituzioni. Il principio di sussidiarietà e di adeguatezza che, in materia amministrativa deve improntare i rapporti tra i vari enti locali comporta che ad operare debba essere l’ente più adatto, nel senso di più efficace, secondo il criterio della maggior vicinanza al bisogno su cui intervenire. La sussidiarietà suppone a sua volta una maggiore autonomia degli enti locali, nel differenziare le politiche in relazione ai diversi bisogni locali, e la parallela maggiore responsabilizzazione degli stessi nella gestione delle risorse fiscali, (che implica una responsabilità, sia nella provvista delle risorse finanziarie sia nella destinazione delle stesse ai diversi bisogni).

Questo passaggio si ottiene attraverso un riequilibrio del rapporto tra prelievo fiscale centrale e prelievo locale, al quale dovrebbe essere, alla fine, affidato il compito di finanziare la spesa pubblica locale.

Il principio è quello secondo il quale per ogni euro pagato in più dai contribuenti a Comuni, Province, Regioni, e a qualsiasi altro ente locale (comunità montane, consorzi di bonifica e quant’altro), se ne deve pagare uno in meno allo Stato.

Solo in questo modo si potrà pensare alla possibilità di quell’ampliamento della autonomia impositiva degli enti locali, che è condizione ineludibile perchè gli stessi possano assolvere pienamente al proprio ruolo.

Ma l’attuale sistema della finanza locale non può neppure prestarsi, così com’è, ad una operazione di questo genere. Si avrebbero infatti degli effetti fortemente sperequati, perchè l’unica imposta in cui si configurano la capacità e la autonomia dell’ente locale è l’ICI, appannaggio dei Comuni.

Una dilatazione di questa imposta a seguito della varata riforma del sistema catastale, avrebbe come conseguenza quella di far pagare il costo dello stesso ad una sola categoria economica: quella dei proprietari immobiliari, in quanto possessori del bene-cespite (non già percettori del reddito, dato il suo carattere di patrimonialità).

Aumentare quindi la capacità impositiva degli enti locali, ma realizzare nel contempo un maggior equilibrio tra capacità fiscale locale e prelievo locale attraverso due livelli di intervento.

A livello regionale, occorre dare attuazione e potenziare la compartecipazione dell’ente regione alle imposte indirette erariali (anche per riequilibrare il rapporto sbilanciato che esiste fra le imposte statali).

Per quanto riguarda viceversa il livello comunale lo strumento della compartecipazione non è adatto a risolvere il problema del concorso dei city users nel finanziamento (in rapporto ai servizi goduti) del bilancio del Comune nel cui territorio gli stessi esercitano l’attività lavorativa.

E’ chiaro infatti che la compartecipazione funziona a favore del Comune di residenza e non di quello in cui i cosiddetti pendolari producono il reddito lavorativo; consumandovi, nel contempo cinque o sei giorni su sette, i relativi servizi.

Occorre dunque (ma bisogna uscire dalla logica semplicistica della dilatazione dell’ICI perchè, in questo caso, il federalismo si farebbe - giova ripeterlo - a carico di una sola categoria di contribuenti) istituire una imposta comunale. Imposta che abbia la più larga base imponibile possibile, in termini di categorie e di contribuenti assoggettati. E quindi si riferisca a tutti i redditi lavorativi, prodotti nel territorio comunale, da residenti e da pendolari: imposta detraibile da quelle erariali, ovviamente, onde realizzare al tempo stesso il non aggravio del contribuente ed il trasferimento della risorsa fiscale dallo Stato al Comune.



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