_comunicato #249
05 Maggio 2008
Relazione del Presidente alla Federlombarda in data 5.5.08: Il mercato immobiliare ed i suoi fattori. Le certificazioni degli immobili
Vorrei preliminarmente denunciare l’ipocrisia delle leggi italiane in materia di sicurezza degli immobili: che ci induce a dire che, quando lo Stato parla di questa sicurezza, lo fa con l’arrière pensée della preoccupazione economica ed ambientale – energetica.
La legge infatti stabilisce dei parametri, degli standard, di funzionalità e di sicurezza; ma poi, soprattutto per quanto riguarda gli immobili abitativi, non impone obbligatoriamente l’esecuzione delle relative opere di adeguamento; ma “aspetta al varco” il cittadino, l’utente, il quale, quando dispone dell’immobile (per la vendita o per la locazione), trova sulla sua strada l’obbligo di allegazione della certificazione di funzionalità o di sicurezza.
Emblematica al proposito è l’interpretazione dell’art. 13 del D.M. 37/2008 fornita dall’ufficio legislativo del Ministero dello sviluppo economico.
Nel tentativo di dare coerenza a quella norma che, per la verità, di coerenza ne ha ben poca, quell’ufficio incorre in due affermazioni che, sul piano giuridico, presentano una forte contraddizione fra loro che fa intuire qual è il disegno finale dello Stato: mettere alle strette tutto il patrimonio immobiliare italiano, sul piano della conformità a norme di sicurezza sempre più stringenti.
Riferendosi agli impianti già esistenti negli edifici si dichiara che “la sicurezza dei predetti impianti deve essere valutata in base alla loro conformità alle norme vigenti al momento della loro realizzazione o modifica” (si badi bene non “la regolarità formale”, ma la “sicurezza” intesa dunque come requisito sostanziale).
Tanto che non sussiste alcun obbligo”, aggiunge la nota, “di procedere all’adeguamento degli impianti preesistenti conformi alle precedenti norme di sicurezza ad essi applicabili”.
Contemporaneamente richiama la disposizione secondo cui “l’atto di trasferimento riporta la garanzia del venditore in ordine alla conformità degli impianti alla vigente normativa in materia di sicurezza; e, per escludere o limitare tale garanzia (introdotta dall’art. 13 in via obbligatoria), è necessario che nella relativa clausola intervengano la dichiarazione del venditore e la presa d’atto del compratore “circa la non conformità o la possibile non conformità dell’impianto alle norme di sicurezza ad esso applicabili”; ad evitare che, in mancanza di tale dichiarazione si configuri un’ipotesi di vizi e difetti occulti della cosa venduta, tale da impedire l’operatività del meccanismo di esclusione della garanzia.
Questa affermazione, correlata a quanto più sopra specificato, deve intendersi come riferita alle norme vigenti al momento della stipula dell’atto. Ci si chiede, dunque, perchè mai, se non per un effetto di costrizione alla normalizzazione degli impianti, il venditore debba dichiarare dei vizi relativi ad una conformità (quella alle norme vigenti) che si afferma non essere necessaria.
Questa costrizione, o meglio questa tendenza alla costrizione, ha un costo che rappresenta una “deminutio” di valore dell’immobile.
E non voglio dire dei rischi per danni connessi ai difetti di funzionamento degli impianti. Per la loro copertura, Assoedilizia ha persino propiziato, presso una compagnia statunitense di primaria importanza, l’istituzione di una polizza (dal costo popolare) contro i rischi di natura catastrofale e con un massimale fino a 25 milioni di euro.
Egualmente emblematica, sotto altro profilo, la normativa di sicurezza dell’uso domestico di apparecchiature ed impianti a metano.
Il legislatore, conoscendone l’alta pericolosità, ha statuito che non possano esser vendute cucine economiche non dotate di valvola termostatica sui fornelli. Ma non ha il coraggio di prescrivere l’obbligo di sostituzione di circa 25 milioni di cucine attualmente in funzione, nelle case degli italiani, senza la dotazione della predetta termocoppia.
Come pure il legislatore non introduce l’obbligo d’installazione dell’apparecchiatura di interdizione dell’erogazione del gas in caso di fuoriuscita anomala; nè statuisce l’obbligatorietà dei controlli, a valle del contatore, con responsabilità a carico degli enti erogatori del gas per l’uso irregolare dello stesso da parte dell’utente.
Grava quindi, in quest’ultimo caso, sulla vita dell’immobile, una cappa permanente di insicurezza con pesanti riflessi in caso di sinistro.
Tanto che, stante questo atteggiamento legislativo, Assoedilizia, nel varare la polizza contro i rischi di natura catastrofale, ha insistito perchè la compagnia di Assicurazione inserisse la copertura anche degli eventi derivanti da colpa grave. Perchè, in fondo, anche quando esistono le norme di sicurezza, queste o non sono chiare, o sono difficilmente applicabili in toto, o non si capisce quando debbano essere applicate.
Stiamo parlando, ovviamente, dei riflessi sul patrimonio edilizio edificato. Altro e differente discorso va svolto per la progettazione e l’esecuzione di nuovi interventi edilizi.
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Credo occorra svolgere una premessa generale per meglio comprendere la relazione agli atti.
Perchè, se vogliamo esaminare gli influssi delle normative inerenti alle certificazioni (di sicurezza ed energetiche) sul mercato immobiliare italiano, non possiamo esimerci dal considerare le peculiarità del nostro mercato, che, in breve sintesi, possono indicarsi nei seguenti fattori:
1) nel nostro Paese c’è una specie di culto della casa e del bene immobile.
La riprova sta nel fatto che gli italiani tendono a diventare proprietari immobiliari.
Attualmente i soggetti (persone fisiche e giuridiche) proprietari di immobili, in proprietà piena, parziale, o pro quota, in Italia sono 46 milioni, così suddivisi:
38 milioni proprietari di fabbricati (di cui 9 MLN proprietari di terreni)
8 MLN – proprietari di soli terreni.

Questo dato non ha nulla a che fare con quello comunemente corrente secondo il quale l’80% degli italiani è proprietario della casa. Il dato si riferisce alle abitazioni occupate dalla famiglia proprietaria. Anzi, secondo una nostra ricerca pubblicata sul Sole 24 Ore, queste sono 17,8 MLN (cioè circa il 71,3% del totale delle abitazioni e non l’80%); poichè va considerato che il 19,9% è rappresentato dalle abitazioni in locazione e l’8,8% da quelle occupate a titolo diverso.
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2) La propensione alla conservazione delle strutture edilizie.
Raramente infatti il processo edilizio è di radicale trasformazione del tessuto urbano sul piano edilizio-urbanistico.
Più frequente è il riuso del manufatto edilizio.
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3) In Italia è mediamente presente un alto livello di qualità edilizia degli immobili (più elevato che negli altri paesi europei) sotto i profili:
- della qualità architettonica
- della tipologia edilizio- costruttiva
- della qualità dei materiali impiegati
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4) Il fattore localizzazione soprattutto la prossimità ai centri storici (città monocentriche) ha un rilievo preponderante nella determinazione dei valori immobiliari.
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5) Fra i fattori di determinazione dei valori immobiliari, si riscontra una prevalenza della funzionalità (interna ed esterna) del manufatto edilizio (tipologia – localizzazione dei servizi ecc.) sulla qualità edilizia.
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6) Determinante è poi la dipendenza delle quotazioni immobiliari dalle condizioni generali dell’economia. Tra i fattori determinanti:
- la domanda del mercato di utilizzazione e di godimento dell’immobile
- la competitività (sul piano della remuneratività) degli altri fattori di investimento. Ad esempio il mercato finanziario e l’investimento mobiliare.
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7) Sostanzialmente scarsa rilevanza presenta il fattore incrementativo connesso alle cosiddette superfetazioni additive di natura qualitativa (ad esempio le opere volte al risparmio energetico degli edifici) che non abbiano anche contenuti quantitativi (ad esempio incrementi di S.L.P.).


Achille Colombo Clerici
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