_comunicato #402
17 Marzo 2009
Ricorso di Assoedilizia al Garante del contribuente
ILL.MO GARANTE DEL CONTRIBUENTE
Via della Moscova, 2
20121 MILANO


ASSOEDILIZIA – Associazione Milanese della Proprietà Edilizia, con sede in Milano, via Meravigli, 3, in persona del suo Presidente pro tempore Avv. Achille Colombo Clerici, rappresentata da Prof. Avv. Gianfranco Gaffuri, Prof. Mario Polelli e Prof. Avv. Nicolò Zanon,

SEGNALA

al GARANTE DEL CONTRIBUENTE, ai sensi dell’art. 13, comma 6, della l. 27.7.2000, n. 212, quanto segue


1. Fatti
Tra la fine del 2008 e all’inizio del 2009, l’Agenzia del territorio di Milano ha notificato circa 16.000 atti di accertamento catastali ai proprietari degli immobili siti in 4 diverse microzone del Comune di Milano.
Il procedimento che ha portato all’adozione di tali atti trova il suo fondamento normativo nell’art. 1, comma 335, della legge finanziaria del 2005 (l. 30.12.2004, n. 311), secondo cui i Comuni possono richiedere agli Uffici provinciali dell’Agenzia del Territorio la revisione parziale del classamento delle unità immobiliari site in microzone per le quali il rapporto tra valore medio di mercato e il corrispondente valore medio catastale si discosta significativamente dall’analogo rapporto relativo all’insieme delle microzone comunali.
A seguito di una richiesta di due dirigenti della Direzione centrale del servizio “Servizi Catastali”, l’Agenzia del Territorio di Milano, ha dato avvio al procedimento di riclassamento nel novembre 2005, ovvero di modifica delle qualità e classi catastali, come risulta dalla determinazione pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 30.11.2005.
Come però si evidenzierà nel seguito di questa segnalazione, il procedimento seguito dall’Agenzia del Territorio di Milano, nonché dal Comune stesso, presenta numerosi vizi, che inficiano evidentemente anche la validità degli atti di accertamento notificati ai cittadini milanesi interessati.
Visto lo stretto legame che intercorre tra il classamento delle unità immobiliari e l’imposizione fiscale che su esse interviene, Assoedilizia ritiene pertanto opportuno rivolgersi al Garante del Contribuente, affinché lo stesso possa attivare le procedure di autotutela e sollecitare le autorità competenti a porre in essere gli opportuni rimedi così come previsto dall’art. 13 della legge n. 212 del 2000.

2. Illegittimità per incompetenza della procedura per la revisione del classamento catastale
Il procedimento che ha portato al riclassamento è stato attivato a seguito di una istanza del Comune di Milano datata 14 ottobre 2005 (cfr. doc. n. …).
La richiesta di procedere al riclassamento non è stata però il frutto della decisione di uno degli organi politici del Comune di Milano (Consiglio comunale, Giunta, o Sindaco). La richiesta di effettuare il riclassamento è giunta invece grazie all’autonoma iniziativa di due funzionari della Direzione centrale dei Servizi Catastali. Come emerge dalla lettura della missiva inoltrata all’Agenzia del Territorio, infatti, i due funzionari (il Responsabile del Servizio, ing. Daniele Spada, e il Direttore centrale, dott. Emilio Cazzani), dopo aver ricevuto una mail dall’Agenzia del Territorio, senza che risulti agli atti una consultazione o una deliberazione degli organi di livello politico, hanno provveduto a richiedere la revisione parziale del classamento.
Ora, un atto di così grande rilievo non può però essere legittimamente emanato per iniziativa e deliberazione di due funzionari.
Lo vietano in primo luogo le norme del Testo Unico degli Enti Locali (TUEL) e quelle dello Statuto del Comune di Milano. Ma lo vietano oggi anche i principi del federalismo fiscale: è assurdo che un atto in grado di incidere notevolmente sul livello di imposizione fiscale dei cittadini provenga da chi non ha neppure responsabilità politica nei confronti dei cittadini stessi.
La competenza ad emanare l’istanza di cui all’art. 1, comma 335, della legge n. 311 del 2004, spettava infatti esclusivamente agli organi di governo dell’ente locale.
L’art. 107 del TUEL prevede infatti espressamente che i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di governo, mentre solo la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti.
Ora, si può discutere se la competenza spetti al Consiglio comunale o alla Giunta, ma sicuramente il procedimento di riclassamento non poteva essere messo in moto da due dirigenti.
D’altra parte, lo stesso Statuto del Comune di Milano (art. 43, comma 3) prevede che “sono di competenza della Giunta gli atti di amministrazione rientranti, ai sensi dell’art. 107, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 267 del 2000, nelle funzioni degli organi di governo, che non siano riservati dalla legge al Consiglio e che non ricadano nelle competenze, previste dalle leggi o dallo Statuto, del Sindaco o degli Organi di decentramento”.
Ancora, va segnalato che l’art. 71, comma 2, dello Statuto comunale prevede che ai dirigenti spettino tutti gli atti non attribuiti alla Giunta, “che abbiano natura vincolata o che comportino discrezionalità di natura esclusivamente tecnica”.
È del tutto evidente che quando una legge attribuisce ad un qualsiasi ente la possibilità di avviare un determinato procedimento, la decisione che ne segue è necessariamente di carattere discrezionale.
Pertanto, la richiesta del riclassamento delle microzone attribuito dalla legge statale non può certo definirsi atto vincolato, e neppure si tratta di un atto che richiede discrezionalità esclusivamente tecnica. Le conseguenze del riclassamento sono di tale portata – incidendo indirettamente sul livello di imposizione fiscale dei cittadini – che la scelta sulla volontà di procedere o meno al riclassamento non poteva che provenire da uno degli organi di governo.
L’incompetenza ad emanare la richiesta di classamento vizia l’intera procedura che ha portato al riclassamento delle unità immobiliari. Di conseguenza, tutti gli atti susseguenti, compresi evidentemente gli avvisi di accertamento, devono essere considerati viziati e pertanto revocabili in sede di autotutela, oppure annullabili dal giudice competente.

3. Illegittimità dell’accertamento catastale per violazione della procedura prevista dal d.p.r. n. 138 del 1998
Ulteriori vizi gravano gli atti di accertamento catastale: deve innanzitutto premettersi che il procedimento di riclassamento è specificamente disciplinato dal d.p.r. n. 138 del 1998.
Tale regolamento è stato emanato ai sensi della legge n. 662 del 1996 (art. 3, commi 154 e 155), secondo cui, “al fine dell’aggiornamento del catasto e della sua gestione unitaria con province e comuni, anche per favorire il recupero dell’evasione”, “con regolamento da emanare ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988”, si doveva provvedere alla “revisione generale delle zone censuarie, delle tariffe d’estimo, della qualificazione, della classificazione e del classamento delle unità immobiliari e dei terreni e dei relativi criteri”,
Ora, l’articolo 9 del citato regolamento detta le regole relative alla “revisione del classamento”, ma tali regole non sono state rispettate nel corso della procedura oggetto della presente segnalazione.
Innanzitutto, il primo comma dell’art. 9, del citato regolamento prevede che “Per ciascuna zona censuaria, i competenti uffici del dipartimento del territorio procedono alla revisione del classamento, sulla base:
a) dell'articolazione del territorio comunale in microzone, definita ai sensi dell'articolo 2;
b) dei quadri di qualificazione e classificazione, definiti ai sensi dell'articolo 4;
c) dei criteri e dei fattori indicati nell'articolo 8, utilizzando le informazioni descrittive e censuarie presenti nella banca dati del catasto edilizio urbano e quelle rappresentate nelle schede descrittive delle microzone predisposte dai comuni, nonché le risultanze delle indagini immobiliari svolte in sede locale”.
Ora, dalla motivazione dei singoli atti di accertamento non è affatto possibile comprendere se siano state effettuate le prescritte indagini immobiliari in loco: anzi, è del tutto evidente che il riclassamento, a differenza di quanto previsto dal regolamento citato, è il risultato di un’operazione svolta a tavolino, priva dei necessari riscontri da effettuarsi presso gli immobili.
In secondo luogo, il comma 4 prevede che “I prospetti di classamento sono oggetto di pubblicizzazione per centottanta giorni presso i comuni e, per quelli relativi ai comuni capoluoghi di provincia, anche presso le sedi degli uffici del dipartimento del territorio, durante i quali i soggetti interessati hanno facoltà di presentare osservazioni mediante fogli informativi conformi ai moduli predisposti dall'amministrazione. Le osservazioni concernono i caratteri descritti nell'articolo 8, commi 6 e 7”.
Il procedimento di classamento è dunque composto da più fasi: la prima si conclude con la pubblicazione provvisoria dei prospetti delle qualità e delle classi catastali tipo e della assegnazione dell’unità immobiliare tipo alla categoria attribuita (classamento). Al termine di questa prima fase, i cittadini interessati possono presentare osservazioni e rilievi a quelli che la legge definisce prospetti di classamento.
Nel presente caso, questa fase è stata completamente omessa, anche perché pare che l’Agenzia del Territorio non disponga di unità immobiliari tipo.
Infine, il comma 5 dell’art. 9 del d.p.r. n. 138 del 1998 dispone che “Per la successiva pubblicazione ufficiale degli atti soggetti alla revisione del classamento, si applicano le disposizioni previste dagli articoli 12 e 13 del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, così come convertito dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, e successivamente modificato dall'articolo 2 del decreto legislativo 8 aprile 1948, n. 514, nonché quelle previste dagli articoli 86, 87, 88 e 89 del decreto del Presidente della Repubblica 1° dicembre 1949, n. 1142, recante l'approvazione del regolamento per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano, e dal paragrafo 29-bis dell'istruzione per la conservazione del catasto edilizio urbano, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 250 del 25 ottobre 1989”.
In particolare, nel presente caso, dovrebbe trovare applicazione proprio il citato paragrafo 29-bis dell’istruzione per la conservazione del catasto urbano: secondo tale norma, “in occasione di operazione di accertamento di un rilevante numero di unità immobiliari urbane, nonché di revisioni di classamento, l’amministrazione può procedere alla pubblicazione degli atti con le modalità previste dal decreto del Ministero delle finanze 20 luglio 1970. Secondo tale norma, vi deve essere una pubblicazione dei risultati preceduta dall’affissione di un manifesto che ne dà preventiva notizia. La pubblicazione, precisa la norma, avviene “mediante l’esibizione ai possessori interessati della copia dei documenti che contengono, con le motivazioni, i risultati delle variazioni accertate”. I proprietari degli immobili possono anche in questa sede proporre osservazioni e rilievi.
Ben vero che la legge n. 342 del 2000 ha previsto che “in ogni caso gli atti modificativi delle rendite catastali per fabbricati sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione ai soggetti intestatari”. Ma tale norma non sembra esonerare l’amministrazione dal rispetto delle norme richiamate dal regolamento del 1998. Cosa che invece, nel presente caso, è avvenuta, avendo l’Agenzia del Territorio completamente omesso la fase di pubblicazione delle risultanze del riclassamento.

4. Illegittimità della procedura del riclassamento per la mancata consultazione delle Commissioni censuarie
A differenza di quanto avvenuto nel presente caso, le norme susseguitesi nel corso del tempo in tema di revisione di classamento hanno sempre richiesto la consultazione delle Commissioni censuarie.
Già l’art. 13 del d.p.r. n. 1142 del 1949 (recante “Approvazione del Regolamento per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano”) prevedeva che, nel caso in cui si renda opportuna, per sopravvenute variazioni di carattere permanente nell’accertamento dello stato delle unità immobiliari, la revisione del quadro delle categorie e delle classi, “i nuovi quadri delle categorie e classi sono soggetti all’approvazione delle Commissioni censuarie”. Analogamente, secondo l’art. 64 del citato d.p.r., “qualora alcune unità immobiliari accertate abbiano destinazione ordinaria o caratteristiche influenti sul reddito notevolmente difformi da quelle proprie delle categorie e classi prestabilite (…) l’Ufficio tecnico erariale deve provvedere ad apportare al quadro delle categorie e classi le occorrenti integrazioni sottoponendole all’approvazione delle Commissioni censuarie”.
Gli art 33 e 37 del medesimo d.p.r. n. 1142 del 1949 prevedevano poi che fossero le Commissioni censuarie provinciali ad approvare e modificare i prospetti delle tariffe d’estimo, che, come noto, esprimono le rendite catastali per unità di consistenza.
Analoghe previsioni erano contenute nel d.p.r. n. 650 del 1972 (recante “Perfezionamento e revisione del sistema catastale”), che agli articoli 30, 31 e 32 disponeva che sono le Commissioni censuarie ad esaminare ed approvare il quadro delle categorie e delle classi, nonché i prospetti delle tariffe d’estimo.
Conformemente alle norme vigenti, infatti, il D.M. 18 marzo 1991 (recante “Revisione generale della qualificazione, della classificazione e dei classa menti delle unità immobiliari urbane”) esplicitamente disponeva che “le tariffe per le unità immobiliari a destinazione ordinaria saranno approvate con le procedure previste dagli articoli 30, 31 e 32” del citato d.p.r. n. 650 del 1972.
Infine, secondo l’art. 9 del d.p.r. n. 138 del 1998, la revisione del classamento avviene, oltre che in base all’articolazione del territorio comunale in microzone, sulla base dei quadri di qualificazione e classificazione definiti ai sensi dell’articolo 4 e dei criteri (categoria e classe di competenza di ogni unità immobiliare) di cui all’art. 8 del medesimo d.p.r.
I quadri di qualificazione e classificazione indicano tutte le categorie riscontrate in ciascuna zona censuaria ed il numero delle classi in cui ciascuna categoria è suddivisa. L’articolo 4 prevede che i citati quadri possono essere oggetto di revisione da parte degli uffici del dipartimento del territorio, in conseguenza di intervenute variazioni socio-economiche, ambientali ed urbanistiche di carattere permanente nella zona censuaria.
Analogamente alle norme precedentemente citate, la determinazione delle tariffe d’estimo e dei quadri di qualificazione e classificazione – cfr. art. 4, comma 3, e art. 6, del d.p.r. n. 138 del 1998 – sono sottoposti all’approvazione della commissione censuaria.

5. Illegittimità della procedura per la revisione del classamento per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento.
Anche a ritenere che il riclassamento effettuato in base a quanto previsto dalla legge finanziaria del 2005 sia un procedimento speciale, e che quindi non trovino applicazione le norme di cui al d.p.r. n. 138 del 1998, l’Amministrazione avrebbe dovuto rispettare le regole dettate dalla legge n. 241 del 1990, che disciplina in via generale ogni procedimento amministrativo.
Ma neanche questo, come subito si dirà, è avvenuto.
Infatti, nessuno dei cittadini cui è stato notificato l’atto di classamento ha ricevuto l’invio della comunicazione dell’avvio del procedimento di riclassamento: ciò comporta una violazione dell’art. 8 della legge n. 241 del 1990.
Ben vero che la determinazione dell’Agenzia del Territorio con la quale si sono attivati i processi di revisione del classamento per le microzone 1, 2, 8 e 14 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 6 dicembre 2005, n. 284. Ma, come affermato in giurisprudenza, “l'art. 8, comma 3, l. n. 241 del 1990 non consente di ritenere in astratto, sulla base di parametri prestabiliti anziché di un'attenta valutazione delle specificità proprie della singola vicenda amministrativa, che talune forme di pubblicità (come la pubblicazione in Gazzetta ufficiale, nda) possano sostituire quella, fisiologica, costituita dalla comunicazione individuale; ciò tanto più quando il procedimento sia volto all’adozione di provvedimenti destinati ad incidere pesantemente su fondamentali posizioni soggettive: si impone, pertanto, un'adeguata e motivata valutazione amministrativa che, tenuto conto delle obiettive difficoltà prevedibilmente riscontrabili nel far luogo alla comunicazione individuale, individui le modalità alternative idonee a sortire un effetto di notiziazione tendenzialmente equivalente a quello proprio della cennata comunicazione individuale” (Cons. Stato, sez. VI, 11 maggio 2005, n. 2381).
Ma, ancora di più, l’obbligo di comunicare a ciascun interessato l’avvio del procedimento di riclassamento doveva ritenersi sussistente, poiché non è mai stato chiaro quali immobili e quali strade o piazze fossero ricomprese nelle microzone interessate al riclassamento.
A leggere la delibera del Comune di Milano del giugno 1999, con la quale è stata effettuata la suddivisione in microzone – e sulla cui illegittimità si tornerà in seguito – infatti, ci si accorge ad esempio che le microzone non sono state numerate seguendo il criterio dell’ordine crescente dei numeri (1, 2, 3, 4 etc.); esse sono state invece numerate utilizzando un sistema misto più complesso (A 01, A 02, A 03, A 04; B 01… B 06; C 01….C 12; D 01….D 29; E 01…03). Ciò ha nei fatti realizzato la non coincidenza delle 4 zone interessate dal riclassamento rispetto alla classificazione effettuata dalla delibera comunale. In altre parole, le microzone n. 1, 2, 8 e 14, non esistono, così come descritte nella determinazione dell’Agenzia del territorio. Esistono le microzone A 01, B 01, C 01, D 01 ed E 01.
Ora, l’incertezza circa la delimitazione delle microzone ha reso di fatto impossibile (o comunque molto difficile) per il singolo cittadino sapere se l’immobile di cui è proprietario fosse o meno interessato alle operazioni di riclassamento: aspetto che a maggior ragione avrebbe dovuto imporre la comunicazione dell’avvio del procedimento.
D’altra parte, siffatta comunicazione dovrebbe consentire agli interessati di intervenire nel procedimento stesso. Ma è del tutto evidente che in questo caso ciò non è potuto accadere, con grave pregiudizio dei cittadini interessati.
Né si potrà obiettare fondatamente che l’art. 13, comma 2, della legge citata n.241/1990 dispone l’inapplicabilità ai procedimenti fiscali delle norme contenute nel capo III, comprendente anche quelle che disciplinano la partecipazione dei cittadini, conformemente alle modalità previste dalla legge, ai procedimenti amministrativi e la comunicazione preventiva del loro avviamento.
L’attività esclusa dalla partecipazione del cittadino è quella riguardante la vera e propria funzione impositiva, ovverosia la preparazione, con la connessa istruttoria, e l’emissione degli atti con cui si accerta una violazione fiscale e si esige il tributo o il maggior tributo conseguente.
Sono invece estranei alla deroga stabilità dall’art.13, comma 2, i procedimenti mediante i quali si determinano prodromicamente le condizioni e i presupposti per esigere, nei singoli casi concreti, l’imposta e per calcolare la misura, nonché verificare l’eventuale evasione del contribuente.
La revisione catastale è riconducibile esemplarmente a questa seconda ipotesi, nonostante l’uso di una terminologia impropria per definire l’atto fiscale attributivo della rendita, oggetto della revisione stessa.
Con il procedimento, che si conclude con quell’atto, si determina infatti la qualità e la classe di un’unità o di più unità immobiliari, con la conseguente determinazione della rendita secondo i criteri previsti, e quindi si compie un’opera preparatoria (e solo questo) delle future pretese impositive.
D’altronde lo stesso ordinamento, riguardante il catasto e il suo aggiornamento prevedono la facoltà per gli interessati di intervenire nel procedimento, presentando osservazioni; dunque, a maggior ragione, occorre la comunicazione dell’avviamento, non essendo bastevole la solo pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

6. Illegittimità dell’atto finale del procedimento per carenza di motivazione dell’atto stesso
Va ancora osservato, sempre con riferimento alle violazioni della legge n.241 del 1990, che la motivazione dei provvedimenti notificati ai cittadini è assolutamente generica e non dà affatto conto delle ragioni che hanno portato alla modifica del precedente classamento.
Ben vero che nella motivazione si dà spiegazione – oltremodo generica – delle cause che hanno indotto al riclassamento (la riqualificazione urbana delle microzone, il mutato quadro socio-economico delle zone oggetto di intervento, la disomogeneità di classamento tra immobili classati in epoca remota e quelli classati più di recente), ma non si spiega affatto come si sia giunti al classamento attuale del singolo immobile.
La motivazione del provvedimento si limita genericamente ad affermare che l’Ufficio provinciale ha effettuato “un raffronto con unità assunte a riferimento utilizzando il quadro tariffario vigente”, e che “rispetto all’epoca del classamento originario sono stati acquisiti con apposita verifica, i caratteri tipologici e costruttivi, considerati nell’ambito della relativa ubicazione, e, attraverso l’esame della documentazione già in possesso dell’Ufficio provinciale (dichiarazione e planimetrie), sono state verificate le dimensioni e la distribuzione degli ambienti”.
Il singolo cittadino non ha pertanto alcuna possibilità di sapere, nel caso concreto, il motivo per cui l’immobile di sua proprietà è oggi classificato in modo diverso rispetto a quanto succedeva in precedenza. Tutto questo in quanto l’Agenzia del Territorio, non disponendo delle unità immobiliari tipo, ha dovuto far riferimento a criteri generici che di fatto non consentono di individuare le peculiarità che differenziano in modo specifico gli immobili.
E, d’altra parte, le già richiamate modalità con cui la definizione delle qualità e classi e del relativo classamento sono avvenuti – ovvero con un’operazione effettuata senza svolgere i necessari accertamenti in loco sulle singole unità immobiliari – e il mancato raffronto con le unità immobiliari tipo hanno impedito all’Amministrazione di motivare correttamente i vari atti di riclassamento. Proprio perché nessuna indagine concreta ed effettiva su tali unità immobiliari è mai stata realizzata, la motivazione del nuovo classamento non può che essere del tutto generica.

7. Illegittimità dell’atto presupposto: la delibera del Consiglio comunale di individuazione delle microzone
Come si è detto, il riclassamento è avvenuto soltanto in alcune microzone del Comune di Milano. Ora, Assoedilizia ritiene opportuno segnalare che anche la delibera del giugno del 1999 emanata dal Comune di Milano – che in questa sede rileva quale atto presupposto degli atti di accertamento inviati dall’Agenzia del Territorio – presenta vizi di illegittimità
La necessità di evidenziare l’illegittimità della citata delibera del Comune di Milano discende da quanto affermato dalla sentenza della II sezione del TAR Lombardia n. 987 del 2006.
In quella circostanza, infatti, Assoedilizia aveva richiesto l’annullamento, insieme alle determinazioni dell’Agenzia del Territorio pubblicate sulla Gazzetta ufficiale che informavano dell’avvio del procedimento di riclassamento, proprio della delibera del Comune di Milano che istituiva le microzone. Ebbene, in quella circostanza, il TAR evidenziò come il ricorso fosse diretto “contro provvedimenti soltanto strumentali rispetto all’eventuale rettifica del classamento delle unità immobiliari coinvolte dal processo revisionale, laddove invece è proprio ed esclusivamente la suddetta eventuale rettifica a rappresentare il provvedimento impugnabile, se lesivo della situazione soggettiva dell’intestatario dell’unità immobiliare oggetto della revisione catastale”. Pertanto, dagli atti allora impugnati – secondo il giudizio del TAR – i ricorrenti non subivano alcun pregiudizio concreto ed attuale, essendo questi atti “meramente preparatori e propedeutici rispetto all’emanazione agli atti puntuali di revisione del classamento per gli immobili ricadenti nelle zone sottoposte al processo revisionale”.
Dunque, ora che effettivamente gli atti di accertamento sono stati emanati e notificati, è necessario evidenziare l’illegittimità anche della delibera con la quale il Comune di Milano è stato suddiviso in microzone. Infatti, la delibera costituisce proprio il presupposto della procedura di riclassamento.
Ciò premesso, va innanzitutto osservato che l’individuazione dei dati di cui si è avvalsa l’Amministrazione per la classificazione delle microzone é stato il frutto di una operazione irragionevole e arbitraria da parte dell’Amministrazione stessa.
I dati da cui il Comune di Milano ha infatti tratto spunto per pervenire all’individuazione delle microzone si riferivano ai prezzi di vendita e ai canoni di locazione del triennio 1992-1994 e non all’OMI (Osservatorio del Mercato Immobiliare) che rappresenta la fonte più attendibile dei valori immobiliari.
Suddette valutazioni non potevano essere utilizzate alla data di adozione della delibera dal momento che esse erano l’espressione dell’andamento di un mercato immobiliare che non trovava più rispondenza già nel momento di adozione della delibera citata.
In secondo luogo, occorre evidenziare che la delibera di divisione del territorio in microzone non ha tenuto assolutamente conto, nelle sue scelte, delle indicazioni date dal precetto legislativo che ha costituito il fondamento normativo della delibera stessa.
L’art. 2 D.P.R. 138/1998, nel prevedere i principi cui le amministrazioni avrebbero dovuto attenersi, non si limita, infatti, a definire la microzona come insediamento omogeneo, ma detta gli elementi di insieme e di dettaglio che devono concorrere al fine della individuazione della zona comprendente gli insediamenti da accomunare sotto il profilo della stessa disciplina.
Gli elementi sono complessi e si riferiscono da una parte ai caratteri generali dell’insediamento quali le caratteristiche di posizione, urbanistiche, storico-ambientali, socio-economiche oltre la dotazione dei servizi e delle infrastrutture urbane, e dall’altra parte alle caratteristiche delle singole unità immobiliari, quali la tipologia dell’immobile, l’epoca di costruzione, le destinazioni prevalenti, la redditualità e il valore.
Nella relazione di premessa alla delibera in questione si fa riferimento a valutazioni e studi in riferimento solo ad alcuni degli elementi indicati dalla legge.
Si parla infatti di dati ricavati dall’analisi territoriale delle «aree di mercato» su valori commerciali e locativi, dotazioni di servizi e presenza di infrastrutture, ma non si rinviene nessuna indicazione sulla ricerca che avrebbe dovuto essere volta ad individuare la presenza di elementi di omogeneità per caratteristiche tipologiche, epoca di costruzione, caratteri storico-ambientali, urbanistici e socio-economici.
Proprio questo é il contenuto del dettato normativo: la microzona non solo dovrebbe radunare immobili aventi la medesima rendita di posizione ma non potrebbe ricomprendere unità immobiliari costruite, ad esempio, in epoche diverse e con caratteristiche socio-economiche di natura diversa.
La suddivisione del Comune di Milano si limita invece a perimetrare zone con localizzazioni contigue, servite dalle stesse infrastrutture e con funzioni prevalenti relativamente omogenee. Il risultato è che nella stessa zona sono ricompresi immobili nuovi e antichi, di lusso e di edilizia popolare ed in definitiva con caratteristiche assolutamente diverse: il che è in contrasto con la ratio della legge che intendeva nella sostanza raggiungere un sistema che fosse strumento di facile applicazione nel procedimento di imposizione fiscale.
Non solo: nell’indicare gli elementi distintivi delle singole microzone l’Amministrazione inserisce un elemento che la legge non prevede.
Per ogni microzona, infatti, viene indicato un valore commerciale minimo, massimo e di massima frequenza delle singole unità immobiliari ricomprese nella zona stessa..
I numeri dei valori, così come indicati, non possono avere nessuna attendibilità perché altro non sono che numeri segnalati da organizzazioni commerciali che controllano l’andamento momentaneo del mercato e senza alcun riferimento all’OMI, numeri che oltretutto si riferiscono ad un momento che non trova rispondenza nella realtà economica alla data di adozione della delibera.
Da un esame anche superficiale di alcuni dei raggruppamenti relativi a determinate microzone si può verificare la errata valutazione delle situazioni di fatto, l’irrazionalità e la manifesta ingiustizia della individuazione realizzata dalla delibera comunale.
Infatti, e solo per consentire a questo Ecc.mo Garante di avere una conferma dell’irragionevolezza della divisione, si segnala:
a) Il tratto esterno di via Vittorio Emanuele viene valutato di più del tratto centrale.-
b) via Monte Napoleone é divisa in due: il tratto più esterno, verso via Manzoni, vale oltre il 10% in più rispetto al tratto verso S. Babila e così le vie circostanti.-
c) Via Torino – via Palla – via Piatti – Il Carrobbio, valgono il 10% in più di via Larga – via Albricci – piazza Diaz – Torre Velasca.-
d) Corso di Porta Romana – Crocetta – via Marchiondi come valore medio sono stimati oltre il 10% in più rispetto a Corso Venezia – via Serbelloni – via Mozart – via Cappuccini – piazza Duse – Corso Monforte.-
e) Lo stesso valore viene attribuito da un lato a via Paleocapa – Foro Buonaparte – Piazza Castello – via Parini; dall’altro a Via Palermo – Via Marsala – Via Milazzo – Largo La Foppa – Via Paolo Sarpi – Via Lomazzo – Via Bramante – Via Maroncelli – Via Tazzoli – Via Pasubio.-
f) Via Palermo – Via Marsala – Via Milazzo – Largo La Foppa – Via Paolo Sarpi – Via Lomazzo – Via Bramante – Via Maroncelli – Via Tazzoli – Via Pasubio: in tutte queste zone si hanno valori superiori a quelli di S. Barnaba – Guastalla – Corridoni – Passione – Bellini – Donizetti.

8. Segue: altri aspetti di illegittimità della delibera del Consiglio comunale di Milano
La deliberazione assunta dal Consiglio comunale di Milano nel giugno del 1999 è viziata anche per altro aspetto.
L’art.1, comma 335, della legge già citata n. 311 del 2004, dalla quale trae origine il riclassamento di cui si discute, stabilisce che la revisione parziale riguarda le unità immobiliari site in microzone comunali “per le quali il rapporto tra il valore medio di mercato” stabilito secondo le norme vigenti “e il corrispondente valore medio catastale”, rilevante per l’applicazione dell’imposta comunale sugli immobili, “si discosta significativamente dall’analogo rapporto relativo all’insieme delle microzone comunali”.
L’anomalia eventuale dei valori, in una microzona, è accertata – secondo l’unico metodo consentito dalla norma – comparando il rapporto tra le due grandezze economiche predette (ovverosia il cosiddetto valore di mercato e quello costituente la base imponibile dell’ici), all’interno di quella stessa microzona, con il rapporto analogo, relativo all’”insieme” delle microzone.
E’ dunque indispensabile suddividere preventivamente tutto il territorio comunale in settori minimi per prestabilire il parametro di comparazione voluto dalla norma. L’insieme, cui questa si riferisce, non può essere infatti altro che l’intera superficie del comune, poiché non è ragionevole ritenere che all’amministrazione locale sia concesso di definire, a sua discrezione, il perimetro di alcune microzone scelte magari ad arte, per prefissare uno degli elementi di raffronto.
La determinazione solo di quattro ambiti minimi viola perciò il suddetto precetto normativo.

9. Illegittimità della procedura per discriminazione a danno dei proprietari degli immobili oggetto del riclassamento
Come certamente noto all’Ecc.mo Garante, l’art. 3, comma 48, della legge n.662 del 1996, stabilisce che “fino alla data di entrata in vigore delle nuove tariffe d'estimo, le vigenti rendite catastali urbane sono rivalutate del 5 per cento ai fini dell'applicazione dell’imposta comunale sugli immobili e di ogni altra imposta”.
Ora, pur essendo la norma citata di ambigua interpretazione, non pare possibile escludere che anche alle rendite adeguate – con il conseguente aumento – a seguito del classamento, sarebbe applicabile la rivalutazione del 5%.
Da una parte, infatti, la norma specifica che la rivalutazione riguarda le rendite “vigenti”; e tali sono solo quelle iscritte nei registri catastali alla data in cui, per effetto del comma 52 dell’art. 3 della legge n. 662 del 1996 citata, la norma è applicabile (ovverosia al 1 gennaio 1997). Quindi sarebbero estranee alla rivalutazione le rendite successivamente determinate: e poco o nulla dovrebbe importare che esse derivino da un’operazione compiuta per la prima volta o da una revisione. Del resto, se l’aumento compensa il ritardo con il quale l’estimo è aggiornato, sembrerebbe incontrovertibile che a quell’aumento non possa essere assoggettata la rendita rivista proprio per adeguarla - così si afferma - alla mutata situazione di fatto.
Dall’altra parte, però, con l’espressione “nuove tariffe d’estimo” si fa riferimento ad una correzione generale e sistematica di tutte le rendite edilizie, mediante la fissazione di nuovi valori determinati in modo astratto e successivamente applicati, in funzione di classamenti eventualmente aggiornati, al singolo caso.
Se quest’ultima fosse l’interpretazione prevalente, dunque, l’aumento percentuale nella misura predetta si applicherebbe anche alle rendite frutto della revisione parziale e occasionale, con un’indubbia iniquità discriminatoria.
Ciò si sostanzierebbe in un ulteriore danno dei proprietari i cui immobili sono stati oggetto di revisione.
Per tutti questi motivi
ASSOEDILIZIA chiede all’ecc.mo Garante del contribuente di esercitare tutti i poteri attribuitigli dall’art. 13 della legge n. 212 del 2000, ed, in particolare, di attivare le procedure di autotutela ivi previste.
Chiede inoltre, in spirito di collaborazione, di poter essere ascoltata dalla S.V., in persona del suo Presidente, assistito come sopra.
Con ossequio

Avv. Achille Colombo Clerici
Prof. avv. Gianfranco Gaffuri
Prof. Mario Polelli
Prof. avv. Nicolò Zanon


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