_news #34
20 Settembre 2007
Il meretricio e la città
Il meretricio, antica pratica un po’ indotta e un po’ volontaria: connaturata alla natura umana, se dobbiamo credere a Giovenale che, nelle sue satire, già raccontava di matrone che si recavano nei torbidi lupanari della suburra romana per il piacere di prostituirsi.
A Milano, il fenomeno delle prostitute sulle strade nasce a partire dal 1958, anno di entrata in vigore della nota legge Merlin che, nel chiudere le case di tolleranza (ricordiamo l’efficace ritratto che ne fece la Wertmuller nel film “Pasqualino settebellezze”) sanciva la illegalità, sul piano penale, oltre che dello sfruttamento della prostituzione, anche dell’adescamento: il che tendeva a impedire in luogo pubblico manifestazioni sguaiate o indecenti per la conquista della clientela.
Il centro storico della città, a quell’epoca, si era riempito di “puccian”, molte delle quali avevano dietro le spalle il prosseneta, “el papon”. Stazionavano lungo i viali della circonvallazione, nella cerchia dei navigli, e nel cuore della città; era la Milano della vecchia tradizione (il film Asso con Celentano ce la ricorda molto bene), con i suoi angoli degradati, le case fatiscenti. In ognuno di quegli angoli, un gruppetto di prostitute: molte anziane, sulla breccia da decenni. Le cinque vie, un classico.
Negli anni ’90 del Novecento, la grande trasformazione. La città cambia volto. La legge dell’equo canone viene superata e le vecchie case marce vengono ristrutturate. Il centro della città si terziarizza massicciamente.
La residenza e le attività popolari, che tanto caratterizzavano il mix funzionale della città ottocentesca e della prima metà dello scorso secolo, si trasferiscono nelle periferie e nell’hinterland dando luogo ad un massiccio fenomeno di marginalizzazione che solo ora si sta arrestando. Le prostitute nostrane spariscono dal centro cittadino, come anche i mendicanti italiani. Emigrano nei quartieri periferici, lungo i grandi assi stradali di uscita dalla città, nelle aree di campagna, e vengono sostituite massicciamente dalle straniere di diversa provenienza e razza. In queste zone il racket può tenere maggiormente sotto controllo e con meno rischi le proprie schiere. Nel contempo, è caduto il reato di adescamento e la pornografia nelle edicole, negli spettacoli, ha prodotto una rilassatezza nel costume della popolazione e, sul piano esteriore, nella città: il dilagare del sesso in vendita esibito spudoratamente.
Ci troviamo, dunque, nel bel mezzo di un processo degenerativo del fenomeno-prostituzione, accompagnato da una commistione pesante con la malavita (furti, rapine, droga), e con il racket che gestisce lo sfruttamento attraverso l’uso della violenza.
Nelle zone dove tale fenomeno è presente, siamo al primo stadio di una sorta di evoluzione naturale e spontanea che conduce al formarsi dei quartieri a luci rosse.
Le funzioni abitative, commerciali, artigianali presenti vengono gradatamente espulse. Alla fine i negozi si trasformano in vetrine dove vengono esposti i corpi in vendita. Gli alberghi diventano case di prostituzione. La gente se ne va perché non può abitare in siffatte condizioni di squallore, di precarietà e di rischio.
E’ quanto avvenuto all’estero nella formazione delle zone a luci rosse. Non c’è stata certamente una precisa scelta di tipo dirigistico in tal senso da parte delle amministrazioni locali. Quale operatore, quale soggetto o ente, privato o pubblico che sia, nel nostro Paese gestirebbe, tra l’altro, questo tipo di iniziativa?
Se vogliamo evitare dunque il formarsi di quartieri vocati al sesso (oltre che contrastare decisamente lo sfruttamento) dobbiamo costringere gli “addetti”a spostarsi continuamente sul territorio, onde evitare un radicamento che avrebbe come conseguenza quella di indurre i cittadini all’abbandono delle proprie case e delle proprie attività.

Achille Colombo Clerici
Presidente di Assoedilizia
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