_news #38
05 Ottobre 2007
Milano e la cultura
A proposito del giudizio espresso da mons. Gianfranco Ravasi sullo stato della cultura a Milano, si è aperto un dibattito dal quale si ricava, come prima impressione, che non c'è chiarezza di idee su ciò che dobbiamo intendere con questo termine. La cultura è la mentalità, il modo di essere, la sensibilità; è lo spirito che anima la città; il costume di un popolo.
Essa si traduce in una gerarchia di valori: da quelli spirituali ed etici, a quelli materiali. Per chi la pensa come me, il bello al servizio del buono; il giusto, l'equo, il naturale prima del positivo, non viceversa. Ma non sempre nel corso della storia si è dato di riscontrare questo ordine di valori.
A Milano esistono forti individualità nel campo della cultura; ma la città, i suoi abitanti, complessivamente esprimono una carenza culturale.
Le numerose iniziative artistiche, letterarie, scientifiche (private e pubbliche) la Scala, le Università, gli istituti ed i centri di studi e scientifici sono fattori di cultura. Per essi si parla infatti di offerta culturale: fare i promotori artistici, non significa però essere cultura, né indice della stessa.
Parimenti sono fattori di cultura l'insegnamento, il modello, l'esempio - positivi e negativi - che provengono dal mondo religioso, dalle famiglie, dalla classe dirigente, dai governanti, anche locali.
Cultura è dunque sintesi di valori: conoscenza, ragione, sentimento, spiritualità. E' etica ed estetica insieme; sostanza e forma.
La domanda alla quale rispondere è quindi: che aria respiriamo, che clima regna a Milano? L’insigne prelato per Milano ha usato il termine di effimero; possiamo aggiungere di un effimero basato su una moda che cavalca l'onda del consumismo moderno e cerca di assecondare la voglia di impressionare, di fare immagine anche attraverso lo scandalo, di sbandierare a tutti i costi il benessere ed il successo. Un tempo non era così.
El coeur in man sembra essersi inaridito; in crisi i concetti di prossimo e di solidarietà, di sicurezza, di rispetto degli altri e di se stessi… Ma per meglio capire come si è arrivati all'analisi, è indispensabile individuare le cause del "caso Milano" per trovare gli opportuni rimedi. La nostra città si sta difendendo come può in un passaggio delicato della sua storia; che rappresenta una situazione unica, a confronto di altre grandi città.
Sta cercando faticosamente di "riciclarsi": i processi di deindustrializzazione e di delocalizzazione hanno fatto perdere, in vent’anni, a questa città, attività, funzioni, abitanti in modo spropositato.
Undici milioni di metri quadrati di aree industriali dismesse, significano centinaia di migliaia di posti di lavoro perduti, considerando anche l'indotto; la scomparsa della grande produzione e la sua sostituzione con la finanza; l'esodo di 220.000 famiglie, la chiusura di oltre 20.000 esercizi commerciali ed artigianali; la riduzione sensibile della capacità complessiva di spesa della città.
Significano una accentuazione geometrica del pendolarismo, con i conseguenti problemi di mobilità, di inquinamento, di squilibrio nella gestione dei servizi e nella finanza locale.
Significano un ricambio sociale di dimensione macroscopica. Due semplici dati: la sparizione della classe produttiva operaia ispiratrice di una solida cultura (che tra l'altro ha generato molti imprenditori); e l'inserimento nel tessuto cittadino di circa 250.000 immigrati su una popolazione totale di un milione e 300.000 abitanti. Significano, in definitiva, una città in cui è difficile vivere il quotidiano. Non ci sono dubbi sul fatto che si tratti di un passaggio, di una trasformazione epocale.
Milano, in questa temperie, che in altri grandi Paesi occidentali (per tutti valga l'esempio degli Stati Uniti) ha travolto le città ex industriali, cerca di sopravvivere e, come dice Machiavelli, “si arrangia coll' unghie sue”: con il pragmatismo giansenista che la contraddistingue, cercando soprattutto il risultato e reagendo con una frenesia che è espressa soprattutto dai giovani. Giovani che costituiscono - ecco la faccia virtuosa della medaglia - la punta più avanzata e meglio organizzata del volontariato italiano.
Brava Milano e bravi i suoi cittadini nel reagire, nel mantenere la città traino dell'Italia in Europa, nel plasmarsi alle nuove culture. Ma il monito di mons.Ravasi mantiene tutta la sua validità e ci deve fare riflettere. Ci deve indurre a capire che stiamo vivendo un periodo di transizione, e che il futuro - buono o cattivo - è nelle nostre mani e soprattutto nel nostro intelletto.
Che mons. Ravasi ha sapientemente stimolato; inducendoci a meditare, su quale destino si prospetti per Milano se si continuano a pretermettere i valori spirituali e morali.
Sono tra coloro che credono che, per il progresso umano, occorrano l'efficienza e la cultura dell'achievement; ma che, senza la presenza di un ordine superiore di valori, la società, la città siano condannate inesorabilmente al declino.

Achille Colombo Clerici


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