_news #54
18 Dicembre 2007
Relazione del Presidente Avv. Achille Colombo Clerici Convegno “Verso un nuovo Catasto: per un federalismo effettivo, equo, efficiente” organizzato oggi dal Comune di Seregno
Voglio essere chiaro e sgomberare il campo da ogni equivoco. Perché non posso in questa sede apparire come il difensore di coloro che fanno resistenza alla riforma catastale perché non vogliono pagare le tasse.

A noi la cosa, sotto questo punto di vista, è assolutamente indifferente perché la categoria economica che rappresento (quella dei proprietari immobiliari) è abituata a pagarle eccome, le tasse: anche più dell’equo. Ed oltre tutto non si può sottrarre al fisco, se non a rischio di gravissime conseguenze perché i cespiti fiscali sono assolutamente all’evidenza pubblica.

Per cui, se le imposte invece di versarle allo Stato le versiamo ai Comuni, può anche andarci bene. Il prelievo fiscale, conseguente ad una qualsivoglia riforma catastale, potrebbe anche far aumentare l’ICI a dismisura, (anche se, credetemi, non è questa la via corretta per realizzare il federalismo fiscale stesso perchè questo va raggiunto coinvolgendo tutte le categorie di contribuenti e non solo quella dei proprietari immobiliari e risolvendo il problema dei city users) purché ciò avvenga nell’indifferenza del contribuente e non viceversa con un aggravio dell’attuale carico fiscale.

Le imposte che paghiamo da una parte, le riversiamo da un’altra parte e amen.
Non che le imposte locali debbano divenire, come sta capitando, un doppione delle imposte erariali.

Né la questione si può liquidare sommariamente richiamando l’impegno dello Stato a mantenere l’invarianza del prelievo fiscale: le leggi le conosciamo anche noi e, quando vediamo che l’invarianza riguarda complessivamente il gettito delle imposte dirette ed indirette (e quindi sostanzialmente la pressione fiscale) ma certamente non riguarda il gettito di una singola imposta – quale potrebbe essere l’ICI – né tanto meno l’importo dell’imposta a carico del singolo contribuente, qualche preoccupazione cominciamo a nutrirla.

Perché, vedete, la nostra Costituzione prevede, quale riforma per gli enti locali un’autonomia istituzionale (materie, competenze, funzioni, assetti) ed una autonomia fiscale.

Il processo va sotto il nome corrente in politica di federalismo: anche il Presidente Napolitano lo ha caldeggiato pochi giorni fa.

Nel nostro Paese, le riforme sono una bella cosa ma, poiché vengono realizzate un pezzo alla volta e non nel loro complesso, e magari spesso e volentieri si fermano a mezza strada, succede ad esempio che la competenza per l’edilizia residenziale pubblica (edilizia c.d. popolare) passi dallo Stato alle Regioni, e da queste venga delegata ai Comuni, ma poi lo Stato non trasferisca agli enti locali i rispettivi finanziamenti anzi riduca complessivamente i trasferimenti dicendo ai Comuni stessi: arrangiatevi con la Vostra autonomia fiscale, cioè aumentate l’ICI, (prima e unica imposta in cui si sostanzia l’autonomia impositiva del Comune) imponete tasse di scopo, applicate le addizionali, adottate il project financing (che altro non è se non una forma indiretta di tassazione) imponete i tickets.

Risultato: di case popolari non se ne sono costruite più da vent’anni a questa parte.

In questo quadro, qualsiasi accelerazione che possa portare ad incrementare il sistema impositivo locale, non può che provocare ulteriori sbilanciamenti nel rapporto tra fiscalità erariale e fiscalità locale.

Perché, bisogna dirla tutta, il nostro Paese viaggia a due velocità: non solo quanto a produttività (come una serie di studi condotti in Confindustria ha dimostrato), ma anche quanto a rispetto delle leggi fiscali.

I dati del residuo fiscale pro capite ci dicono che la Lombardia finanzia con 3292 euro, l’Emilia Romagna con 2653 e il Veneto con 2513 euro per abitante, il sistema Italia.
Mentre altre regioni ricevono dallo Stato fino a 2000 euro per abitante. Ciò significa che, nelle nostre Regioni, paghiamo già fior di imposte all’erario, e, prima di aumentare la pressione fiscale locale, sarebbe bene ridurre le imposte erariali.

Proprio in questi giorni, la nostra organizzazione sta ultimando una ricerca nella quale, sulla base dei dati del Ministero dell’Economia, si evidenzia come, a parità più o meno della spesa per famiglia, e del gettito IVA pro capite, quanto a redditi dichiarati, tra le regioni del Nord e quelle del Sud, ci sia un rapporto quasi da 3 a 1. E lo stesso, più o meno, vale per il gettito ICI pro capite.

Negli ultimi anni ’70 del secolo scorso, lo Stato, con i famosi decreti Stammati, ripianava i deficit dei Comuni. Oggi si muove con il gioco dei trasferimenti, dei finanziamenti diretti, con le varie finanziarie che sono improntate a meccanismi che alla fine premiano gli enti locali meno dotati finanziariamente, forse anche perché meno efficienti.

La finanziaria 2005 introduce quella aberrante revisione catastale zonale. Ed il Comune di Milano, solerte come al solito nel fare funzionare la macchina amministrativa (ma anche nel far pagare le tasse) è uno dei 10 comuni italiani che ricorre a questo procedimento.

Quando saranno notificati i nuovi valori catastali, è vero che qualche caso di sperequazione verrà eliminato, ma molto probabilmente i valori (basi impositive per tutte le imposte immobiliari) si troveranno nella generalità dei casi e con le attuali aliquote – che ovviamente non verranno ridotte – a dar luogo sì a vere macroscopiche sperequazioni fra gli immobili compresi nelle 4 microzone oggetto della revisione da un lato, e quelli situati nel resto della città dall’altro.

Risultato: il Comune di Milano incasserà direttamente di più e riceverà sempre minori trasferimenti dallo Stato.

E veniamo allo specifico. La riforma catastale in atto mira dunque a raggiungere una serie di obiettivi – La maggiore efficienza, sul piano amministrativo – L’eliminazione delle sperequazioni, sul piano dell’equità fiscale – Possibilmente un maggior gettito della fiscalità immobiliare, segnatamente dell’ICI, anche se non in modo dichiarato (e pur tuttavia i comuni se lo aspettano).

Ma forse che il federalismo fiscale dobbiamo realizzarlo con la riforma catastale? Ed a carico dei residui contribuenti ICI?

Qualcuno si è chiesto come mai la attuale finanziaria preveda agevolazioni ICI per la prima casa, indipendentemente dalle condizioni economiche, cioè dal reddito del proprietario? In altri termini ammetta ai benefici, non solo i benestanti, ma pure i ricchissimi?

Ho il timore che si stia formando un pensiero politico trasversale di questo genere: sfiliamo dal problema ICI i proprietari della abitazione principale in modo che chi si pensa essere la maggior parte degli italiani sia indifferente alla manovra; e poi via libera alla dilatazione dell’ICI. Cosicché i comuni possano rafforzare la propria autonomia impositiva.
Errore di calcolo questo. I proprietari della prima casa interessati sono meno di 16 milioni; chi resta a pagare l’ICI oltre 22 milioni di soggetti.
Inoltre, buona parte di quei 16 milioni si sveglierà con la brutta sorpresa di vedersi stangata sul laboratorio, sull’ufficio, sul magazzino, sul negozio, sulla seconda casa o su quella data in affitto.

Se dunque il pensiero è quello adombrato avremo ottenuto un bel risultato politico.

La riforma catastale, pur prescindendo dalla valutazione degli effetti sulla base dei criteri reddituali o patrimoniali (la nostra organizzazione ha stimato tra l’altro che il carattere di patrimonialità delle valutazioni catastali porterà di per sè ad un notevole innalzamento dei valori impositivi) prelude ad una accelerazione del prelievo ICI. Senza dire degli effetti sulle imposte indirette e su quelle dirette.

Questo esito, data la situazione fiscale generale del Paese e del settore immobiliare, (in particolare della locazione abitativa) non può giustificarsi in alcun modo con la semplice esigenza di perequazione. Se si deve perequare, chi impedisce che lo si faccia livellando i valori all’ingiù, piuttosto che all’insù?

Preoccupa che si stia formando, nell’opinione pubblica, un luogo comune semplicistico, che rischia di avere effetti fuorvianti: i valori catastali sono bassi e molto lontani da quelli di mercato.

Non dimentichiamo al proposito che i valori catastali sono valori convenzionali, teorici di parametrazione, (non debbono essere necessariamente valori di mercato) e che quando il legislatore istituì l’ICI (questa imposta doveva originariamente esser posta a carico per metà degli utenti della città) determinandone le aliquote – che ritenne eque – sapeva benissimo che quei valori erano più bassi di quelli di mercato e calibrò appunto le aliquote su di essi.

Tra l’altro, da allora, l’imposizione erariale sugli immobili a reddito (che sono poi quelli affittati, magari a scopo abitativo, con quella locazione che si vorrebbe incentivare) è notevolmente aumentata.

E dunque si renda l’ICI integralmente detraibile dalle imposte erariali e si stabilisca comunque per legge, ora per allora, che qualsiasi effettivo aumento dei valori immobiliari, rispetto agli attuali, comporterà l’applicazione di aliquote impositive proporzionalmente ridotte.

Fino a quando non avremo queste garanzie, non potremo sentirci tranquilli con la riforma catastale in atto e non vogliamo ricevere assicurazioni del tipo, “abbiate fiducia, i valori non cresceranno e poi c’è comunque l’invarianza del gettito”.
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